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Guardare oltre il monte per capire il “problema curdo” (intervista del 2011 a Bejan Matur, poetessa turca di origini curde)



Bejan Matur è nata nella Turchia orientale, in una provincia a maggioranza curda. Terminati gli studi superiori ad Antep si trasferì a studiare legge ad Ankara, dove si è laureata ed ha cominciato a lavorare come avvocato. Attualmente si dedica completamente alla scrittura.
Nel 1997 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie, a questa sono seguite sia raccolte di poesie che opere in prosa. Una di queste è Looking Behind the Mountain, del 2011, la cui fase di documentazione l’ha portata sul monte Kandil, dove i guerriglieri curdi del PKK combattono contro l’esercito turco. 
 Le elezioni politiche turche del 7 giugno 2015 hanno portato l'Halkların Demokratik Partisi (HDP), il partito democratico filo curdo, a superare la poco democratica soglia del 10%. Con un consenso pari al 12,9% il partito guidato da Slahattin Demartis ha ottenuto 80 deputati. Per la prima volta il partico curdo ha dei propri rappresentati nel Parlamento turco segnado un importante passo in avanti per i diritti del popolo curdo che vive nelle regioni orientali della Turchia.

 Intervista a Bejan Matur   
[Bejan Matur parla del suo libro Guardare oltre il monte (2011) in una intervista realizzata il 07 marzo 2011 da Yonca Poyraz Dogan.]

Dici, nel tuo libro, di essere rimasta sconvolta durante la tua visita a Kandil per il giorno del “bayram” (festa del sacrificio). Perché?
Lì, ho visto una mia amica d’infanzia. Lei è stata la prima persona che ho incontrato. Siamo nate nello stesso villaggio; siamo cresciute insieme. L’avevo vista per l’ultima volta 19 anni fa ad Ankara. Sapevamo fosse andata in montagna, ma non sai mai se le persone che sono lassù sono ancora vive. Lei sapeva che stavo per andare lassù, ma io non sapevo che lei fosse lì. Vederla è stato un regalo del giorno del bayram. Ringrazio il cielo che sia ancora viva.

Dici diverse volte, nel tuo libro, che hai avuto un forte desiderio di portare indietro con te lei e altre persone della montagna, che ti sei sentita a disagio nel vivere lassù. Perché?
Prima di tutto, non si trattava di una normale divisione. Secondo, io sono contraria ad ogni forma di violenza. Penso che il conflitto armato dovrebbe avere fine. Ebbene, loro hanno una ideologia, ed è per questo che sono lassù ma loro sanno che dovranno venire giù. Non può durare per sempre. Inoltre la nostra non è una società completa senza di loro.

[…]

Hai detto, in una altra intervista che questo libro dovrebbe essere letto soprattutto dai capi di gabinetto, dai capi di polizia, dai burocrati, e così via. Perché?
Un approccio del problema curdo mirato alla sicurezza è stato lungamente richiesto dalla società civile. La società turca è stata militarizzata. Uno dei guerriglieri con cui ho parlato mi ha detto che in Turchia tutti hanno una piccola stazione di polizia nelle loro teste. Abbiamo una mentalità militare, nonostante pensiamo di essere civili. Una volta che l’etichetta di -terrorista- viene data, l’unica soluzione è quella di eliminarla. Questo libro parla della storia che sta dietro al termine  -terrorista-. Noi possiamo risolvere il problema solo se capiamo di cosa parla questa storia perché solo dopo potremo avere un atteggiamento empatico nei suoi confronti. Solo se siamo in grado di dire: “Che storia, quanto dolore!” Solo dopo possiamo pensare a come risolvere il problema. Si, mi piacerebbe con questo libro raggiungere i vertici – capi di polizia, capi di gendarmeria, burocrati, capi di gabinetto – perché loro hanno la responsabilità di capire il problema.

Ti ha contattato qualche personaggio che riveste ruoli ufficiali dopo aver letto il libro?
Si, un ufficiale di polizia mi ha chiamato, piangendo. Era originario di Diyarbakir. Era scosso. Mi ha chiamato un rettore e mi ha espresso uguali sentimenti. Un burocrate mi ha inviato una mail dicendomi di aver pianto due volte nella vita, nel 1990 nell’ascolto di una elegia di Sivan Perwer e ora, mentre leggeva questo libro. Se il libro raggiungesse molte persone il gelo tra di noi potrebbe sciogliersi.

Chi altro legge questo libro?
I tizi della casa editrice hanno detto che le vendite nell’area del Mar Nero sono state grandiose – soprattutto a Trabzor e Samsun. Anche in Anatolia, in citta come Konya. O a Hakkary, Diyarbakir. Siamo alla quarta edizione.

Hai fatto riferimento anche al fatto che il libro fosse venduto da Migros [una importante catena di supermercati]. Cosa significa?
Quando le persone vedono questo libro sullo scaffale mentre comprano il latte per i loro figli e poi mettono il libro nel carrello, questo è importante. Anche per quelle persone che non leggono o comprano il libro è importante anche solo guardare la copertina o leggere la quarta di copertina. È importante che siano capaci di pensare senza appellare quelle persone come terroristi. Perché queste persone sono andate sulle montagne? Perché vivono lassù? Perché alcune di loro hanno fatto ritorno? Perché alcuni vivono in Europa? Le persone coinvolte negli scontri armati, vivendo lassù in montagna, catturate o circondate ci danno le risposte a queste domande.

Essenzialmente tu umanizzi queste persone. Questo è un gesto che farà arrabbiare alcune persone e produrrà sollievo in altre.
Nel libro, io non ho fatto nessun tipo di propaganda politica anche se molte delle persone che ho intervistato provavano a farsene portavoce. Quando iniziavamo a parlare molti di loro iniziavano con frasi del tipo “la nostra lotta contro la Repubblica turca…” ma poi facevano sempre riferimento a ferite personali che li avevano spinti al radicalismo. Se i loro cuori non fossero stati spezzati, non avrebbero mai deciso di andare in montagna. A volte i loro cuori, a volte il loro onore e avvolte entrambi erano feriti. Ho cercato di sentire e catturare questo sentimento e di concentrarlo nelle storie del libro. È possibile capire il PKK leggendo le storie di queste persone, ad esempio. La storia di Brusk. Nessuno è in grado di capire il PKK senza leggere la storia di Brusk. Ho cercato di guardare nei loro cuori per rivelare le loro motivazioni emotive che li hanno spinto ad andare in montagna.

Dove va a finire il tentativo di dialogo ora che sembra essere ritornata la violenza?
Fino a quando il problema sarà affrontato dal punto di vista della sicurezza non saremo in grado di risolverlo. Dovremmo concentrarci sugli aspetti sociologici e psicologici del problema. Il PKK è un problema separato da quello curdo. Anche se i curdi ottenessero i basilari diritti civili, il PKK continuerebbe ad esistere. Bisogna riuscire a convincere il PKK a deporre le armi. Il PKK dovrebbe convincersi a farlo.

Quando la popolazione curda avrà uguali diritti e tutti saranno trattati come cittadini Turchi che ragioni rimarranno al PKK per continuare la loro lotta?
L’aspirazione del PKK è attualmente troppo grande per la Repubblica turca. Il PKK vuole il potere nei territori turchi in cui vive la popolazione curda. C’è un nuove classe media curda in fase di ascesa. Loro non supportano la violenza ma hanno aspirazioni nazionaliste. Anche i nazionalisti curdi chiedono maggiore autonomia così come il PKK. Se chiedi al PKK loro non vogliono la separazione. Ci sono diverse realtà sociologiche nella popolazione curda. Loro vogliono condividere il potere e un sistema centralizzato con base ad Ankara è un problema per loro. È un fatto sociologico: i curdi non sono parte dello stato nazionale e del sistema creato dalla Repubblica di Turchia.

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