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Tre poesie di Kofi Awoonor


Kofi Awoonor (pseudonimo di George Awoonor-Williams) è nato il 13 Marzo del 1935 in Ghana. È un critico letterario e professore di letteratura comparata e ha servito come ambasciatore per il Ghana. È autore di romanzi, opere teatrali, saggi politici, critica letteraria, e diversi volumi di poesia.

Kofi Awoonor è stato ucciso il 21 settembre 2013 durante un attacco terroristico al Westgate Shopping Mall di Nairobi, in Kenya.






LA CATTEDRALE

Su questo spiazzale sporco
un tempo sorgeva un albero 
che diffondeva incenso sul granturco appena nato:
i suoi rami si estendevano attraverso un paradiso
rischiarato dagli ultimi fuochi di una tribù.
Poi mandarono geometri e costruttori
a tagliare l'albero
e piantare al suo posto
un’insensata gigantesca cattedrale di sventura.



QUESTA TERRA, FRATELLO MIO

L’alba si crepa di suoni che conosce
straziando l’aria
mandando in frantumi i nostri templi vacillanti
innalzando al contrario le nostre cattedrali di speranza,
in cambio delle nostre vite offerte sopra questi altari
per la purificazione che venne fatta tempo prima.
Nell’etere portiamo
le nostre viscere; e preghiamo;
grida abbandonate sul ciglio di strade solitarie
come stivali di uomini armati.
Alzo il calice di issopo e di pianto
per toccare le labbra della sete
cielo che geme in milioni di spire
di odio e di morte; noi preghiamo
di condurre a brillare le singole speranze
lucidando nel destino della mia razza
quella spada luccicante di salvezza.
l’orchestra suona la mia musica al tempo
delle erbe stufate di anemone e ginestra
versate sopra le ferite putrescenti della mia razza,
per lavare per sempre il mio splendore assorbente
mentre cerchiamo nei nostri granai il raccolto nuovo.
Speravamo in quel miracolo
quella salvezza attesa
per la quale recitavamo tante preghiere
e offrivamo offerte.

Nelle stagioni dei piedi roventi
dei cattivi raccolti, dei matrimoni disastrosi
lì bruciano sopra il filo luccicante della spada
copia del coltello pasquale.
I suoni attorniavano i nostri cieli solitari
sopra l’erba verde i ballerini gettavano le loro vesti
tendendo le loro appena tosate pelli delle vacche
per costruirsi da soli nuovi tamburelli.
Cieli gementi, da lontano il distante andare
di questi piedi al passo
imitando dal basso la loro violenza.
Lungo strade fiancheggiate di mimose
maltrattati e ammanettati vengono trascinati
per la nostra allegria.
Spargiamo fiori ai piedi dei conquistatori
chiedendo perdono dei nostri peccati…

…Lui verrà fuori dalla bara
i suoi vestiti buttati attorno;
i vermi non avevano svolto il loro compito.
La sua faccia irradia lo splendore di molti soli.
La sua andatura regge il peso di una vittoria,
sulla sua fronte brillano migliaia di nimbi
lui si inginocchierà dopo la rivelazione
e morirà su questa terra.

E io prego
che le mie colline s’innalzino
e che lui mi lavi,
mi respiri
muoia.
Loro li condussero nell’immensità
e mentre camminavano loro vacillavano
e si alzavano di nuovo. Camminavano
fra prati al limine del monte
e inginocchiati in preghiere mute;
si rialzavano di nuovo per risalire il monte;
si chinavano
come adoratori di Muhammed.
Improvvisamente si rialzarono
tendendo le loro mani verso la folla
in una serie di dispendiosi gesti di identità
accolti fra le grida
sorridenti e ondeggianti
come quelli che viaggiano su grandi navi.
Cadde un improvviso silenzio
mentre la folla spingeva gridando
nel luminoso pungente mattino di uno sparo.

Loro li portarono verso il monte
in un gioco di menzogne da uomini ciechi
vacillarono per appoggiarsi ai sacchi di sabbia
i loro ritorni al mare
che li porterà via.
La rotta diceria dei mitra
e poi lo schianto;
uno sparo li salutò
per spedirli dentro l’oscurità

e le mie montagne vorticano
alla fine del mondo.



CANZONI DEL DOLORE

Dzogbese Lisa mi ha curato così
conducendomi tra le spine della foresta
da dove ritornare è impossibile
e andarvi è difficoltoso,
le cose di questo mondo sono come le feci del camaleonte
sulle quali ho camminato,
se le pulisco non posso andare avanti.

Sono all’estremo angolo del mondo
non siedo nella fila dell’eminenza
ma quelli che sono fortunati
siedono in mezzo e dimenticano
che sono all’estremo angolo del mondo
e posso solo andare oltre e dimenticare.

Gente, sono stato in qualche posto
se vi ritorno, la pioggia batte,
vi ritorno e il sole mi brucia,
la legna da ardere di questo mondo
è solo per quelli che ne ricevono sollievo
ecco perché non tutti possono raccoglierla,
il mondo non è buono con nessuno
ma tu sei tanto contenta del tuo destino;
ahimè! I viaggiatori sono di ritorno
coperti di debiti.

Qualcosa deve essermi successa
le cose tanto belle che non riesco più a lamentarmi;
non ho figli che usino la pistola alla mia morte
né figlie che piangano
chiudo la bocca perché ho viaggiato in campi desolati,
i vasti campi desolati che gli uomini chiamano la vita.
La pioggia mi ha percosso,
il duro ceppo è tagliato tanto appuntito quanto un coltello,
dovrei andare e rimanerci
non ho famiglia, non ho fratelli,
la morte ha fatto guerra sulla nostra casa;

La famiglia Kpeti non esiste più,
rimangono solo le staccionate rotte;
e quelli che osarono non guardarlo in faccia
sono diventati uomini.
Che il loro orgoglio li accompagni.
Lasciali andare ma prendi nota
loro hanno trattato malamente la loro prole.
Per cosa ti lamenti?
Qualcuno è morto. Agosu stesso
Ahimè! Un serpente mi ha morso,
il mio braccio è rotto,
e l’albero che mi sosteneva è caduto a terra.

Agosu se vai digli,
digli Nyidevu, Kpeti, e Kove
che loro ci hanno trattato malamente;
digli che la loro casa è distrutta
e gli assi della staccionata
mangiate dalle termiti;
che siano maledetti
chiedigli perché loro oziano lì
mentre noi soffriamo e mangiamo la polvere.
E il corvo e la beccaccia
Stazionano sempre sopra la nostra staccionata
E gli stranieri ci rubano la nostra parte.

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