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"Pace alle capanne! Guerra ai palazi!" Poesia e rivoluzione in germania (1830-1840)

Nel 1833 Georg Büchner scriveva: 
"Agirò sempre secondi i miei principi, ma in tempi recenti ho imparato che solo i bisogni e le necessità della grande massa possono portare a dei mutamenti e che tutto l'agitarsi e lo strillare dei singoli non è che vana opera di stolti" ( Georg Büchner, Opere, a cura di G Dolfini, Adelphi, Milano 1963).
Il contesto storico  è quello della Germania che, così come gran parte d'Europa, si trova a dover fronteggiare i nuovi ideali rivoluzionari francesi e le problematiche proprie dell'epoca moderna da essi sollevati. Problematiche a cui cerca di dare una risposta in primis la classe colta. Sono solo in pochi, però, a percepire la vera portata della Rivoluzione Francese e la consequenziale nasciata dell'opinione pubblica, sollecitata anche dalla diffuzione delle riviste e delle sale di lettura, e l'ingresso del popolo "incolto" nella storia.
Nel 1828 Haine scriveva:  
"La nostra è l'età della lotta per le idee e i giornali sono le nostre fortezze".
Mittner nella sua Storia della letteratura tedesca. Dal realismo alla sperimentazione (1971) sottolinea che "con Heine si attua nella letteratura tedesca il passaggio dal romanticismo al realiamo" e che non ci sia alcun dubbio che letteratura voglia ora dire, per gli scrittori borghesi, lotta per la emancipazione politica e quindi ricerca di nuove forme di espressione artistica".
Nel corso degli anni '30 dell'ottocento in Germania si mobilita non solo la forza intellettuale e quella borghesa colta, che già nei decenni precedenti si era fatta portavoce degli ideali rivoluzionari, ma anche la piccola borghesia cittadina, gli artigiani, gli operai e persino i contadini.
Sempre Büchner, nel 1835 scrive: 
"Il raporto fra poveri e ricchi è l'unico elemento rivoluzionario al mondo." (Da una lettera a Gutzkow del 1835)
Non è un caso che con Georg Büchner si parli di analisi premarxiana e basta citare l'esortazione contenuta in Il messaggero Assiano (Der Hessiche Landbote) del 1834 per capire il suo indirizzo ideologico: 
"Pace alle capanne! Guerra ai Palazzi!"
Tuttavia non si deve correre il rischio di scambiare queste parole per mera propaganda o peggio ancora per populismo. A conferma di quanto detto si leggano le parole scritte da Büchner in una lettera del 1836 indirizzata a Gutzkow: 
"D'altra parte, per essere sincero, non mi sembra che Lei e i suoi amici abbiate preso la via più saggia. Riformare la società per mezzo delle idee, partendo dalla classe colta? Impossibile!  [...] Credo che nelle faccende sociali bisogna partire da un principio di giustizia assoluto, cercare la formazione di una nuova vita spirituale nel popolo e mandare al diavolo questa società moderna ormai morta." (Da una lettera a Gutzkow del 1836)
Inizia così una stagione molto fervida della poesia tedesca che ruoterà intorno a nomi quali quelli di Harro Harring, Johann Philipp Becker, Philipp Jakob Siebenpfeiffer, August von Platen, Georg Fein, Wilhelm Weitling, oltre al già citato Georg Büchner. A fare da centro gravitazionale sarà sempre il dibattito politico e civile sui nuovi temi promossi dalla Rivoluzione francese.
L'imperativo della poesia tedesca negli anni '30 dell'ottocento diventa agire, cioè intervenire nella lotta, o semmai reagire agli eventi politici e militari. Abbiamo già accennato a  Georg Büchner e al suo Il messaggero Assiano, pamphlet con il quale si incitava al grido "Pace alle capanne! Guerra ai palazi!" gli abitanti di quella regione alla rivolta, ma gran parte della poesia di questo periodo ruota attorno ad azioni/reazioni di questo genere.
Veemente fu, ad esempio, la reazione intellettuale alla soppressione della rivolta polacca del novembre del 1830 che, dopo aver portato alla momentanea indipendenza del paese, frutto della violenta repressione da parte di Austria, Prussia e Russia e che portò alla cosiddetta "grande emigrazione". 
Harro Harring scrisse Ricordi della Polonia sotto il dominio russo e anche Poesia per la Polonia. Ecco alcuni versi di  Ricordi della Polonia sotto il dominio russo:
Vidi la terra, nascente, dei servi,
dove la tirannia imperversa con ignobile arbitrio;
dove a disdegno dei diritti divini
il piano dei Grandi alla morte interior mira -
Sì, dove a scorno di divina stirpe
l'uom si gioca i fratelli.
Non più schiavo; a guisa di macchina ridotto è
l'uomo, sì che a sfrenati umori egli si pieghi.

Servo della gleba bagna col sudor della fronte
il suolo, i cui frutti non è lui a godere.
barattato, venduto vien dal padrone al cenno,
ammaestrato come scudier del Reich.
Accolto come un cane - una parola sola, sia essa pur sì fievol,
che dal suo petto dolorosa erompa, val come tradimento, come ribellione -
Ma la letal maniera preserva da ogni agitazione
 Johann Philipp Becker scrive Saluto ai Polacchi che sin dalla struttura si presenta come un vero e proprio inno di battaglia:
Eroi d'Europa, siate i benvenuti!
Voi uomini, schiera guerriera di Polonia,
che assunto ha del popol tedesco la coscienza,
e a noi dato luce di libertà

coro: 
Evviva allor, voi nobili polacchi!
Evviva la vostra luce"
Ché ancor perduta non è la Polonia
poiché Germania i suoi ceppi spezzerà

Come il giorno di Francia con volo d'aquila
di Varsavia sulla torre tre colori portò
penetrerà in Germania la vostra luce,
colla vostra fiaccolata di libertà

Coro (come sopra)

Quando sonerà l'ora della libertà tedesca, 
l'udrà Polonia di lontano,
e il nostro brando grato dirà:
spezzata s'è la catena grazie all'astro di Polonia.
Non mancano gli esempi di poesie anonime o di poeti improvvisati che ci regalano un vero e proprio canzoniere di protesta legato alla "grande emigrazione" polacca:
 Nelle mani prendete la falce,
fratelli, cantiamo!
Di Polonia i malanni han fine:
risuonan le nostre armi!
La "grande emigrazione" polacca, inoltre, favorì il dibattito sul coinvolgimento della classe contadina e in generale del popolo "incolto" che, nel caso specifico, era stato facilmente manipolato dalla propaganda zarista e addirittura armato contro gli insorti polacchi che proprio in nome degli ideali di uguaglianza e libertà avevano agito. Emblematico fu il caso della Galizia, regione in cui furono proprio i contadini (manipolati da Metternich) a tricidare gli insorti.
Ma l'insofferenza contro il potere centrale era ormai tanto manifesta che addirittura Harro Harring si permetteva di pubblicare una lirica, intitolata trentatrè (come i prìncipi tedeschi) in cui scriveva:  
Trentatrè - trentaquattro! 
guardatevi la testa, 
se il popolo un giorno, truce e brusco 
la pazienza perderà
Ancora più esplicite sono le filastrocche anonime che circolavano negli ambienti liberali della renania prussiana: 
Gli aristocratici 
non possono nuocer, 
li arrostiremo; 
prìncipi e conti 
li impiccheremo.
Nel 1833 gli studenti democratici attaccarono il presidio di polizia di Francoforte al canto dell'ormai famoso Lied Battuta tedesca:
Prìncipi, via dal paese!
Prìncipi, via dal paese!
S'appressa la pacchia dei popoli,
s'appressa la pacchia dei popoli.
Via, via, via, via!

Prima caccia il pagliaccio viennese
poi quello d'allor coronato!
Fuori, fuori, fuori, fuori!

Guglielmo ama l'assassinio
via dalla Prussia,
ammazzatelo il cane!

Allarmi Baviera!
Lodovico è finito.
Avanti, avanti, avanti, avanti!
L'eco della "grande migrazione" polacca risuona anche in Philipp Jakob Siebenpfeiffer e nella sua lirica Il maggio dei tedeschi, Lied che venne scritto in occasione dello "Hambacher Fest":
Vedemmo i polacchi andarsene,
quando futratto il dado della sorte;
lasciaron la patria, la casa paterna,
negli artigli rapaci dei barbari:
al cospetto truce dello zar
non si piega il polacco che ama la libertà.

Anche noi, patrioti, partiamo
in schiere compatte e serrate;
vogliam costruirci una casa 
e alla libertà consacrarla:
perché dei tiranni al cospetto
non si piega più a lungo il libero tedesco.
Una delle voci più genuinamente democratiche degli anni 1830-35 fu quella del poeta August von Platen che con i suoi versi fu in grado di testimoniare non solo l'euforia del popolo tedesco ma anche la sua disillusione. In Odio dei russi (Russenhass) scrive:
Scendiam nella tomba stanchi e sfiniti
dopo cimenti temerari e udaci
inspiriamo nelle vostre anime
dei russi il nostro odio.

[...]
Governa in ogni età felicemente un tiranno, 
destino è dell'umanità;
che resta allora all'uomo oppresso?
una tomba nel grembo della terra.

Ma voi, ammoniti dalle nostre pene,
sia oggi o doman,
oh, siate solo una volta ancora,
l'antico popolo di Teut!
 e in Coro infernale scrive:
Ma rassegnati, o oeta,
soltanto poco ci rimette il mondo;
lo sai da tempo, non c'è nulla di peggio
sulla terra che essere tedesco!
Ben presto, infatti, anche a seguito degli insuccessi (come la rivolta promossa da Büchner in Assia e fallita miseramente) emerse una forte spaccatura all'interno del fronte rivoluzionario. In particolar modo emerse sempre più prepotentemente una componente popolare (artigiani e piccolo borghesi) in contrasto con la borghesia intellettuale che fino ad allora aveva retto le fila del movimento. Büchner per primo, come abbiamo già visto, l'aveva auspicata e più volte aveva ribadito la sua ferma convinzione che solo la forza delle masse popolari sarebbe stata in grado di abbattere la reazione assolutistico feudale che era in atto nei territori tedeschi e non solo. 
Nel 1834 venne fondata la Giovane Germania aggregata alla Giovane Europa, promossa da Mazzini. Tuttavia sono sempre i problemi interni al movimento a tenere banco ed è emblematico che una rottura, all'interno della Lega dei proscritti (società segreta dei profughi politici tedeschi), avvenga non tra artigiani e borghesia colta ma tra due esponenti di quest'ultima corrente. Si tratta di Jakob Venedey (vicino alle idee socialiste e utopiche di Lamennais) e Theodor Schuster che molto lucidamente scriveva: "Il nostro intendo è: emancipazione radical-sociale e politica della classe lavoratrice". 
A testimoniare la consistenza della componente artigiana nel fronte rivoluzionario è la comparsa dei cosiddetti poeti-garzoni o artigiani-poeti.
Inizialmente a farsi portavoce intellettuale della piccola borghesia artigiana era stato Georg Fein che però non manca di individuarne le pecche e i vizi, come in Canzone degli artigiani uniti:
Il conciator concia dei principi la pelle
coi non lavati pugni;
il calzolaio, padrone del mestiere
la tende sulla forma.

alla genìa dei nobili 
sa il falegname resecar gli artigli;
lo spazzacamino si compiace,
di ripulire i troni.
Per quanto riguarda gli artigiani-poeti basti ricordare i versi del falegname L. Wagner: 


Canzone civica
Onorate allora l'artigiano
ed anche il contadino,
povero o ricco!
Fatti entrambi come voi,
e della stessa pasta,
perciò siam uomini noi
ognuno uguale all'altro.

Ma la classe contadina 
fu finor molto misconosciuta,
disprezzata addirittura.
eppure verrà il giorno,
che ci si pentirà,
d'aver la brava gente
sempre disprezzata.

Che senza le due classi
mai ci sarà salvezza 
per la patria.
Sol quando il popol di ribellerà,
spazzerà i troni,
e abbatterà il pretume,
solo allor nascerà la speranza.

Perciò, cari signori
fregiati di decorazioni e stelle,
badate a voi!
Un giorno scoppierà la vendetta.
Allora il contadino
come anche l'artigiano
scenderanno coraggiosi
in battaglia.

Nessuno allora vi risparmierà
solo la morte sarà ricompensa
per ogni manigoldo.
Ci avete sempre disprezzati,
perciò si riderà
quando appesi alla forca
nell'aria vi dibatterete.
Il nome che più di altri è legato al movimento artigiano, però, è quello del sarto Wilhelm Weitling che si stacca dall'utopismo di Lamennais e opera un deciso scatto in avanti verso uno sviluppo concreto di una coscienza proletaria.
In Il mondo come è e come dovrebbe essere, del 1838,  scrive:
I nomi Repubblica e Costituzione,
per quanto belli siano, non bastano da soli;
il popolo povero non ha nulla nello stomaco,
nulla di che vestirsi e deve sempre penare;
perciò la prossima rivoluzione, se deve riformar dev'essere sociale.
Con Weitling si introducono dei leggeri spostamenti di prospettiva che fanno del suo uno sguardo unico e particolarmente moderno. E' tra i primi a temere la facilità con la quale è possibile fare del populismo con il concetto di libertà (argomento che ancora oggi meriterebbe un'approfondita riflessione a cominciare dai significati particolari che ha assunto la parola libertà negli Stati Uniti). Weitling infatti mutua il concetto di libertà in quello di uguaglianza, come in Canzone di guerra degli eguali:
Come magnifico s'alza
dei corni melodioso il suono! 
Ci consacriamo all'uguaglianza
nello scrosciar dei canti di guerra!
O in La partenza per la battaglia:
Il nostro giovane sangue sprizzi
nella foga della giusta lotta!
Uguaglianza è la parola d'ordine.
I versi con cui voglio chiudere questo intervento sulla poesia rivoluzionaria tedesca negli anni 1830-40 sono quelli della straordinariamente moderna L'universalista (che nelle tematiche è in grado di richiamare argomenti e ideali che un secolo è mezzo dopo hanno animato e animano un'altro movimento di protesta e la produzione poetica che lo ha accompagnato, parlo del movimento Occupy Wall Street e dell'antologia poetica che hanno prodotto, di cui ho già parlato, qui il link)
L'universalista

Abbraccia, o sacro vincolo fraterno,
ogni popolo e ogni paese:
senza tregua si combatta
l'egoismo e l'odio selvaggio!
l'intera umanità, senza eccezioni,
sia insieme ospite e fratello

Coro:
Sì, sì, sì, sì, sì, sì,
l'intera umanità, senza eccezioni,
sia insieme ospite e fratello.

Non mi divide certo dal fratello,
che egli non parli la mia lingua.
non mi divide dalla patria
quella lingua a me sconosciuta.
La mia patria è il mondo
con tutti i popoli che esso contiene.

Coro:
Sì, sì, sì, sì, sì, sì,
l'intera umanità, senza eccezioni,
sia insieme ospite e fratello.

Il mondo regge un gran Signore
nell'alto dei cieli egli risiede:
ma eternamente giovane e eternamente nuovi
son per tutti il suo amore e la sua fedeltà.
Come i figli guardano al padre,
così ogni popolo a lui leva lo sguardo.

Coro:
Sì, sì, sì, sì, sì, sì,
l'intera umanità, senza eccezioni,
sia insieme ospite e fratello.


[Il post non è frutto di una mia ricerca ma di una mia compilazione, per la quale ho essenzialmente fatto riferimento a Farese Giuseppe, Poesia e rivoluzione in Germania (1830-1850), Laterza, Roma-Bari, 1974.]

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